Baudelaire, come molti altri classici del canone occidentale, è stato oggetto di una mole ipertrofica di saggi critici, la maggior parte dei quali inconsistenti e privi di spunti davvero innovativi. Inoltre, alcuni contributi accademici scritti appena una decina di anni fa oggi risultano già del tutto inutili o illeggibili: del resto, non c’è niente di letterario che invecchi peggio della cattiva critica.
Tra i pochi saggi critici che resistono al tempo, ci sono, invece, spesso, quelli nati al di fuori degli accademismi e delle mode contingenti. È il caso dell’affascinante monografia Baudelaire et l’expérience du gouffre di Benjamin Fondane, finalmente tradotta in italiano per cura di Luca Orlandini (Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, Aragno, pagine 454, euro 25).
Oggi quasi dimenticato, Fondane è stato un poeta e filosofo di singolare rilievo nell’ambito della cultura europea del primo Novecento: dalla Romania, dove era nato nel 1898, si trasferì, a partire dagli anni venti, in Francia, dove, fra l’altro, tradusse e divulgò l’opera del grande filosofo russo Šestov, che esercitò su di lui un influsso decisivo. Nell’ultimo periodo della sua vita, Fondane fu quasi totalmente assorbito dalla monografia baudelairiana, a cui però non poté dare l’ultima rifinitura, perché morì tragicamente nel campo di concentramento di Auschwitz nell’ottobre del 1944. Il libro fu pubblicato postumo nel 1947, nello stesso anno del tanto più osannato Baudelaire di Sartre. Per l’Italia, occorre ricordare una tempestiva recensione, sostanzialmente elogiativa, di Benedetto Croce, che giudicava Fondane uno tra i più interessanti scrittori francesi contemporanei.
Però, come fa notare Orlandini (che, insieme a questa traduzione, ha pubblicato l’ampia guida alla lettura La vita involontaria. In margine al «Baudelaire e l’esperienza dell’abisso» di B. F., Aragno, pagine 312, euro 20), il volume di Fondane, in Italia, come in Francia, suscitò un’eco piuttosto limitata: se volessimo usare il brutto gergo attuale, diremmo che il suo impact factor fu decisamente scarso. Eppure, a rileggere il libro oggi, si direbbe che molti critici, anche illustri, vi abbiano attinto a piene mani, senza però citarlo esplicitamente. Fa eccezione Emil Cioran, che, al contrario, dichiarò sempre apertamente la sua grande considerazione nei riguardi di Fondane (tanto da consacrargli uno dei suoi Esercizi di ammirazione) e affermò addirittura che Baudelaire e l’esperienza dell’abisso era la cosa più profonda che fosse mai stata scritta sull’autore dei Fiori del male.
Ma quali erano tesi di Fondane su Baudelaire? Distinguendosi drasticamente da quegli interpreti che, come Paul Valéry, avevano esaltato Baudelaire per la straordinaria consapevolezza critica e per la compostezza quasi classica di alcuni suoi componimenti, Fondane afferma che il poeta francese è, suo malgrado (come si sa, Baudelaire cercò sempre di ridimensionare l’importanza dell’ispirazione), un posseduto, un poeta ispirato, acceso da quell’entusiasmo di cui parlano i Dialoghi di Platone.
La grandezza letteraria di Baudelaire non risiede quindi, secondo Fondane, in una poetica teorica, stabilita a priori, ma, all’opposto, in un’esperienza abissale, non riconducibile alla consapevolezza razionale: «al contrario di quello che aveva sempre sostenuto, la nuova estetica cui egli [Baudelaire] ci introduce è puramente sperimentale, a posteriori, è stata elaborata al di fuori di ogni procedimento e ogni legge». Il centro di tutto l’universo poetico di Baudelaire è, per l’appunto, l’esperienza pascaliana del Gouffre (l’Abisso), a cui è intitolata una celebre lirica dei Fiori del male, un’esperienza nella quale Fondane riconosce una forma singolarissima di religiosità.
Tra i capitoli densi e ricchissimi di riferimenti filosofici e letterari, colpiscono particolarmente quelli in cui Baudelaire è messo a confronto con Kafka per il tema dell’Assurdo. In queste intense pagine Fondane svolge i temi essenziali della sua disincantata filosofia esistenziale: il Male, il Nulla, l’irrazionalità della storia e, appunto, l’assurdità dell’esistenza, che egli stava sperimentando sulla propria pelle, nella consapevole imminenza della sua tragica fine. Del resto, discorrendo di Baudelaire, Fondane parla anche, e soprattutto, di se stesso e questa sua opera estrema può senz’altro considerarsi il suo inquieto testamento spirituale.
@RaoulBruni
...mais l'homme où est-il l'homme? l'homme rit il salue l'après-midi du sang il s'étonne d'avoir du retard sur lui-même les intestins des routes se gonflent dans son cœur où iras-tu où ira-t-il les enfents lui arrachent les reins feuille par feuille ils le prennent pour cible à leur mots nouveaux ils ont de l'appétit à manger de l'homme mais il se cache sous la paupière de ses muscles nu comme ces poissons dont on ne pêche que l'éclat il fait le plongeon dans le rêve le voici plein des phospohorescences du sommeil le silence le suit d'une lampe d'une tache de graisse l'esprit mais une aube iréelle le mer y brosse ses cheveux il court affolé comme un chien de chasse et c'est toujours au plus profond il caresse les joues des forces qu'il dénoue signes et jus cette richesse l'ahurit d'être absente il jette les oiseaux à pleins mains solitudes où se retirent les bateaux mourants — qui es-tu quiétude quel est l'oubli qu'il faut asseoir sur ses genoux quel grand morceau de terre passer sous le silence qui choisir de la vie méchante ou de la mort qp tuer? désir, lâche mon pied de ton piège à loups assez de ces miroirs où s'abrutit le nu la fraise n'est que la veine ouverte de la pierre les sources se font vérifier par le foie le printemps, lui aussi, viendra parler aux foules — donnez-moi autre chose tant d'objets imprévus minéraux il leur faudra des noms suffisamment obscurs naissances croissances désordres nouveaux donnez-moi autre chose une nouvelle foi simple et ferrugineuse une nouvelle langue dentifrice et minérale une nouvelle mort vous dis-je. | Pero el hombre, ¿dónde está el hombre? el hombre ríe—y saluda el mediodía de la sangre y se sorprende por haber llegado tarde a su propio encuentro, los intestinos de las rutas le hinchan el corazón ¿dónde irás? ¿dónde irá? los niños le arrancan los riñones hoja por hoja lo toman como blanco de las nuevas palabras quieren devorar hombre pero él se oculta bajo los párpados de sus músculos desnudo como aquellos peces de los cuales se pesca el brillo se zambulle en el sueño helo aquí lleno de sueño fosforescente el silencio lo sigue con su lámpara el espíritu con una mancha de grasa pero un alba irreal allí peina el mar su cabellera y el hombre se desboca como un lebrel de caza y es siempre más profundo acaricia las mejillas de la fuerza que desata signos y jugos con su ausencia lo asusta esta riqueza arroja a plenas manos los pájaros soledad donde los barcos se retiran a morir ¿quién eres tú, quietud, cuál es el olvido que debe sentarse sobre nuestras rodillas qué gran trozo de tierra sumergir en el silencio qué escogeremos de la vida malvada o de la muerte a quién matar? deseo deja libre mi pie de tu trampa de lobos basta de esos espejos donde se envilece el desnudo la fresa no es más que la vena abierta de la piedra las fuentes se verifican por la fe la Primavera también vendrá para hablar a las masas —dadme, dadme, otra cosa— tanto objeto imprevisto y mineral a los cuales colocar nombres suficientemente oscuros nacientes crecientes nuevos dadme dadme otra cosa por ejemplo una fe nueva simple y ferruginosa una lengua nueva dentífrica y mineral una nueva muerte es lo que os digo. |